Viaggia in piedi a prua del suo barchino, Giosuè.
Si tiene stretto al capo di corda per rimanere in equilibrio,
seguito da altre dieci barche in fila,
come le perle nere di una collana.
Il Raìs, lo chiamano.
Ha il rispetto e l’obbedienza di tutti,
perché tutti vivono del suo istinto da predatore.
Le bestie in amore stanno arrivando;
ha pianificato da settimane ormai le reti, sono state varate,
e oggi sono tutte rinchiuse nella camera della morte.
Lenta litania cantata da decine di uomini dal viso bruciato dal sole,
che circondano gli animali con le loro barche,
gli strumenti di morte fra le mani.
Il cerchio si stringe, ormai non hanno più scampo.
Pinne e code si dibattono freneticamente nell’acqua.
Il primo arpione è di Giosuè, quello che da il via alla mattanza.
Lance che infilzano la carne viva,
spruzzi di sangue rosso che lordano l’acqua del mare
subito spazzati via dal furore della battaglia.
Per loro, le bestie, è persa in partenza;
nessuno scampo, nessuna possibilità di sfuggire al massacro.
Uno alla volta vengono arpionati
e ancora vivi vengono spinti nelle stive.
Poi Giosuè stringe gli occhi facendosi ombra col palmo della mano.
Non può essere, i tonni non hanno abiti addosso …
Guarda meglio; in mezzo al mare, circondati da decine di barche
assetate di sangue non vede pesci, vede indumenti, uomini,
donne e bambini, tanti bambini.
Portati al macello dalla furia del denaro.
Si guarda intorno e non riconosce più il suo mare, la sua flotta.
Adesso sono carri armati che sparano
su quella massa informe e agonizzante.
L’odore della cordite gli fa arricciare il naso.
Le urla dei bambini ai quali egli stesso sta dando la caccia,
lo fanno impazzire.
Ordina il fermo ma nessuno lo ascolta.
La frenesia della caccia ha trasformato quei pacifici pescatori
in assassini senza alcuno scrupolo.
Tutti, vanno uccisi tutti; non uno deve rimanere.
Nessuno scampo per le bestie.
Si china verso la chiglia della sua barca, continua a non capire;
Giosuè, mi chiamo Giosuè!
Perché adesso mi chiamano Ben?
