Non ci impegniamo più.
Forse non ci interessa più.
Il declino linguistico ci sta travolgendo come una valanga inarrestabile. E nessuno muove un dito. Come sempre perché più semplice sono le comunicazioni (leggasi meno strutturate con meno contenuti) e più facile è “intortare” (leggasi impressionare) l'utente medio, il votante medio, colui che non ha voglia (e neanche i mezzi) per valutare, per attivare il giudizio critico, per capire fino in fondo cosa accade e quali siano le conseguenze delle proprie scelte.
È come un domino, nel quale sbagliata una mossa, cade tutto.
Ormai non ci cervelliamo più, usiamo meno parole possibile e non perché utilizziamo l'arte della sintesi (quella è un'arte), ma perché di parole non ne abbiamo più a disposizione.
Ormai pensiamo short message, usiamo emoticon, ritenendo che questo basti a veicolare un messaggio o un pensiero (niente di più sbagliato e veicolo incommensurabile di fraintendimenti e incomprensioni).
la verità è che non sappiamo più scrivere perché parliamo male, e questa deriva - lo si dice spesso perché è proprio così - avviene perché non si legge più.
Non leggiamo, non abbiamo più parole da utilizzare nel nostre vocabolario linguistico, pertanto scriviamo in maniera sciatta a volta incomprensibile.
È tutto veloce, troppo veloce. E alle parole preferiamo le immagini. Eppure non siamo capaci a volte neanche di scriverne una didascalia. Basta scorrere le “home” dei social; immagini senza un pensiero a corredo. Sono stati completamente annebbiati i pensieri (o forse dovrei dire annientati) come se una “faccina” possa chiarire tutto.
Dov'è finita la lingua italiana?
La grammatica, la sintassi, la punteggiatura, dove sono finite?
In quale meandro del lessico sono precipitate?
Non possono essere un optional.
È davvero terrificante ciò a cui stiamo assistendo.
L'ho fatta mille volte la prova sui social.
Una foto, senza didascalia ha più consensi di una con 10 parole che raccontano la foto.
Se poi decido di descrivere una situazione, un luogo, un sentimento devo stare in poche righe altrimenti quasi nessuno si soffermerà a leggere quello che ho scritto.
Disinteresse, analfabetismo funzionale, disturbo dell'attenzione, incapacità di comprendere che meno interesse proviamo verso argomenti che regolano (a volte a nostra insaputa) il nostro vivere, e più la deriva sarà vicina. E quella devia è un vero e proprio impoverimento culturale.
E questo si verifica anche in molti degli ambienti dove un tempo il discorrere, il linguaggio tecnico (ed anche forbito) era pietra miliare sulla quale si costruiva una competenza. Ad oggi anche nelle aule universitarie, nei tribunali, dai banchi delle scuole si assiste al degrado linguistico.
Chissà se si potrà tornare ad un nuovo splendore della lingua italiana, allenando i giovani alle argomentazioni scritte, al giudizio critico, alla ricerca della fonte giusta per farsi un'idea di ciò che accade intorno a loro e in un mondo che dovrebbe accogliere le loro passioni e le loro attitudini, preservando - possibilmente - tutti i loro diritti.
E chissà se un giorno chi sui social ha tanto seguito, capisca che più gente “ti segue” e più sei tenuto a comunicare pensieri capaci di instillare il pensiero critico ed anche quello creativo, che chi ha tanto seguito ha il dovere di raccontare una realtà all'insegna della verità e della giustizia.
E - non in ultimo - chissà se nei progetti digitali futuri si possa dare il giusto spazio alla lingua italiana, così difficile ma anche così bella, così capace di costruire un mondo ideale, a patto se si utilizzino le parole giuste, adeguate, sagge.
E poi ancora programmi educativi, culturali e politici.
Scrivere bene, parlare bene non è, come molti ormai dicono, un orpello o qualcosa da radical chic, ma una vera lotta contro l'indifferenza; ma soprattutto è un atto di resistenza.
