Etica del “fine vita”: diritti, doveri e autodeterminazione
Morire scegliendo il suicidio assistito perché per 21 ore su 24 al giorno si deve restare attaccati ad un peg, perché si è affetti dal morbo di Parkinson da 18 lunghi anni.
Così Daniele Pieroni 64 anni, il 17 maggio scorso, sceglie con lucidità e serenità di porre fine alla sua vita grazie alla sentenza 242/19 della consulta e grazie alla legge toscana.
Fu lo stesso scrittore nello scorso agosto a contattare l’associazione Luca Coscioni, per chiedere informazioni su come accedere alla morte volontaria assistita. Marco Cappato gli diede tutte le notizie che gli servivano e così Daniele il 31 agosto inviò regolare richiesta alla Asl Toscana Sud Est. Lo scorso 22 aprile gli giunse il responso positivo dall’azienda sanitaria.
Alle 16:47 del 17 maggio, Daniele si è autosomministrato il farmaco letale e alle 16:50 ha smesso serenamente di respirare.

Il suicidio assistito è avvenuto alla presenza del medico della Asl, di altro medico, della coordinatrice per la Toscana dell’associazione Luca Coscioni, del suo fiduciario, delle sue badanti e dei suoi familiari. La coordinatrice Felicetta Maltese, ha dichiarato che “è importante che abbia funzionato e che l’Asl abbia rispettato i tempi con rispetto e serietà”.
La questione dunque è seria e richiede rispetto.
Ma ovviamente è anche etica.
La consulta ha stabilito i criteri del suicidio assistito, ma ha poi invitato il Parlamento a legiferare in materia. Come è noto, ancora non è stato fatto; il ministero della Salute ha rimandato alle Regioni la definizione delle modalità dell’esercizio del diritto in essere. La Regione Toscana in febbraio si è fatta una legge per regolare questo diritto; il Governo l’ha impugnata, ma alla fine grazie alla legge regionale, Daniele Pieroni ha potuto porre fine alla sua sofferenza, coscientemente.
A me sembra questa una conquista di civiltà, di dignità e di libertà individuale. Ma la questione è etica e delicatissima.
È giusto mettere mani alla materia.
L’etica del “fine vita” coinvolge riflessioni sui diritti, sui doveri, sull’autodeterminazione e sul valore della vita stessa e in questo contesto è fondamentale comprendere in che modo l’etica e l’eutanasia si intrecciano, esplorando i principali dibattiti che ruotano attorno alla scelta di porre fine alla propria vita in situazioni di sofferenza insostenibile.
Perché spesso le cure palliative non sono sufficienti a “sedare” il dolore e la dipendenza da macchine salvavita: La questione dell’accanimento terapeutico va dunque analizzato, non considerato come assolto.
Le domande sono tutte lecite ma non vanno liquidate con prese di posizione.
Si pensi al valore intrinseco della vita che va sempre preservato, al diritto dell’individuo di decidere come e quando morire, e l’aspetto morale che permette ad una persona che termini la propria vita quanto questo significhi porre fino alla sofferenza derivante da mali irreversibili e degenerativi.
Le posizioni contrastanti vertono però sul senso di ciò che si vive.
Non qualcun altro che decide per te, ma tu che coscientemente scegli che quello che stai vivendo non è più sopportabile o non è più vita.
La questione Dj Fabo, dettò le regole di quello che si è potuto compiere in Toscana lo scorso 17 maggio. Essere costretti a vivere in un corpo che non risponde più a nulla, che è lì, che necessita dell’aiuto di una persona che costantemente deve adoperare (insieme alle macchine) affinché tu posta restare in vita, contemplando quelle piccole cose che necessitano ma che non si possono più fare da soli, tipo grattarsi se si ha un prurito.
L’autonomia, la sofferenza, la qualità della vita devono restare principi fondamentali. E non deve essere il “parere personale” a guidare i lavori affinché si legiferi in materia.
Per ora, resta un primo caso autorizzato dalla Asl.
Fino ad oggi per questa pratica bisognava oltrepassare i confini.
Non è una questione di destra o di sinistra, e non deve riguardare l’aspetto e la volontà della Chiesa visto che siamo un paese laico e la questione vita è personale. E in quella dignità personale risiede la giusta dimensione del vivere o morire.